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20 settembre 2021
Non c’è violazione della privacy sanitaria in caso di richiesta del Green Pass

Per Palazzo Spada, è salva la tutela del diritto alla riservatezza sanitaria in quanto la richiesta non comporta la conoscibilità ai terzi di come è stata ottenuta la Certificazione Verde.

La Redazione

Nell'ordinanza n. 5130 del 17 settembre 2021, il Consiglio di Stato ha chiarito che non subiscono lesioni alla riservatezza sanitaria coloro che si dichiarano contrari alla somministrazione del vaccino posto, in quanto l'attuale sistema di verifica del possesso del Green Pass non determina la conoscibilità ai terzi di come lo stesso è stato ottenuto (vaccinazione o attestazione della negatività del virus).

Sulla questione, Palazzo Spada fa alcune precisazioni. Il contestato D.P.C.M. del 17 giugno 2021 contiene la definizione sugli aspetti di regolamentazione tecnica della Certificazione Verde, in attuazione dell'art. 9, comma 10, D.L. n. 52/2021, mentre i contenuti regolatori riguardanti le attività sociali, economiche e lavorative realizzabili dai soggetti vaccinati, o in possesso dell'attestazione di “negatività al virus”, sono disciplinati da atti aventi forza di legge.
Pertanto, la questione relativa alla compatibilità fra questi ultimi e il diritto, costituzionale e comunitario, non può essere devoluta al giudice amministrativo adito in sede cautelare, «nemmeno al fine di investire delle relative questioni i Giudici (costituzionale ed europeo) competenti, fermi restando gli ulteriori approfondimenti che il giudice di primo grado svolgerà in fase di merito».

Consiglio di Stato, sez. III, ordinanza (ud. 16 settembre 2021) 17 settembre 2021, n. 5130

 

Svolgimento del processo/Motivi della decisione

Considerato che con il ricorso di primo grado gli odierni appellanti hanno impugnato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 giugno 2021, contenente le disposizioni attuative dell’articolo 9, comma 10, del decreto legge 22 aprile 2021 n. 52, relative al sistema di prevenzione, contenimento e controllo sanitario dell’infezione SARS-CoV-2, mediante l’impiego della certificazione verde COVID-19 (cd. “Green pass”), chiedendone l’integrale sospensione dell’efficacia;

 

Considerato che gli appellanti lamentano la lesione del loro diritto alla riservatezza sanitaria, il rischio di discriminazioni nello svolgimento di attività condizionate al possesso della certificazione verde, nonché il pregiudizio economico derivante dalla necessità di sottoporsi a frequenti tamponi;

 

Considerato che gli appellanti sostengono il contrasto dell’impugnato DPCM, nonché della normativa primaria su cui esso si basa, con la disciplina dell’Unione europea e con la Costituzione italiana, con particolare riferimento alla protezione dei dati personali sanitari;

 

Ritenuto che la pronuncia cautelare di rigetto, adottata in primo grado, meriti di essere integralmente confermata, quanto alla dichiarata carenza di una adeguata rappresentazione, ad opera della parte ricorrente, del periculum in mora, connotato dagli indispensabili requisiti di gravità ed irreparabilità, atteso che, da un lato, il prospettato rischio di compromissione della sicurezza nel trattamento dei dati sensibili connessi alla implementazione del cd. Green pass appare rivestire carattere meramente potenziale (non potendo ritenersi insito, ai presenti fini e per la sua astrattezza, nella qualificazione come “attività pericolosa” del trattamento dei dati, ex artt. 15 d.lvo n. 196/2003 e 2050 c.c.);

 

Considerato, inoltre, che gli appellanti, dichiarandosi contrari alla somministrazione del vaccino, nel pieno esercizio dei loro diritti di libera autodeterminazione, non subiscono lesioni del diritto alla riservatezza sanitaria in ordine alla scelta compiuta, dal momento che l’attuale sistema di verifica del possesso della certificazione verde non sembra rendere conoscibili ai terzi il concreto presupposto dell’ottenuta certificazione (vaccinazione o attestazione della negatività al virus);

 

Considerato che, in ogni caso, eventuali concrete ed effettive lesioni future del diritto alla riservatezza sanitaria potranno essere contrastate mediante gli strumenti amministrativi e processuali (anche cautelari) ordinari;

 

Evidenziato altresì che il D.P.C.M. impugnato ha ad oggetto la definizione degli aspetti di regolamentazione tecnica dell’istituto del cd. Green pass, in attuazione della disposizione normativa delegante (art. 9, comma 10, d.l. n. 52/2021), essendo ad esso estranei, invece, i contenuti regolatori, inerenti alle attività sociali, economiche e lavorative realizzabili dai soggetti vaccinati, o in possesso di un’attestazione di “negatività” al virus, cui gli appellanti riconducono i lamentati effetti discriminatori: contenuti che sono propri di atti aventi forza di legge (in particolare, dd.ll. n. 105/2021 e 111/2021), la cognizione della cui compatibilità, costituzionale ed unionale, non potrebbe essere devoluta, recta via ed in mancanza di eventuali specifici atti applicativi di cui siano destinatari gli odierni appellanti, al giudice amministrativo adito in sede cautelare, nemmeno al fine di investire delle relative questioni i Giudici (costituzionale ed europeo) competenti, fermi restando gli ulteriori approfondimenti che il giudice di primo grado svolgerà in fase di merito;

 

Rilevato che analoghe considerazioni, in mancanza di puntuali allegazioni intese a specificare il pregiudizio individualmente subito dagli appellanti, coerentemente con la connotazione di posizione giuridica fondamentale dell’interesse fatto valere in giudizio, anche ai fini cautelari, dal giudice amministrativo, devono svolgersi con riguardo all’asserito effetto indirettamente coercitivo nei riguardi della sottoposizione alla somministrazione vaccinale, o al ripetuto test di negatività, asseritamente riconducibile alle norme che limitano ai soli soggetti vaccinati lo svolgimento di determinate attività, non essendo chiarito quali tra queste sarebbero precluse agli appellanti non vaccinati o privi di attestazione di negatività al virus, ai fini della valutazione della gravità ed irreparabilità del relativo ipotetico pregiudizio;

 

Evidenziato infine, con riferimento al piano valutativo del periculum in mora inteso a soppesare comparativamente il danno lamentato dalla parte richiedente la tutela cautelare, da un lato, e l’interesse che l’Amministrazione ha inteso perseguire mediante il provvedimento impugnato, dall’altro lato, che il depotenziamento degli strumenti (quali, appunto, quello incentrato sull’utilizzo del cd. Green pass) destinati ad operare in modo coordinato, anche al fine di garantirne l’efficacia sul piano della regolazione delle interazioni sociali (con particolare riguardo ai contatti tra soggetti vaccinati, o altrimenti immunizzati, e soggetti non vaccinati), con la campagna vaccinale in corso, il quale non potrebbe non conseguire all’accoglimento della proposta domanda cautelare, determinerebbe un vuoto regolativo foriero, nell’attuale fase non del tutto superata di emergenza pandemica, di conseguenze non prevedibili sul piano della salvaguardia della salute dei cittadini, la grande maggioranza dei quali, peraltro, ha aderito alla proposta vaccinale e ha comunque ottenuto la certificazione verde;

 

Considerato, inoltre, che proprio la graduale estensione della certificazione verde ha oggettivamente accelerato il percorso di riapertura delle attività economiche, sociali e istituzionali;

 

Ritenuto, infine, di richiamare e confermare le ragioni, di seguito trascritte, per le quali il Presidente della Sezione, con il decreto n. 3568 del 30 giugno 2021, ha respinto l’appello proposto dagli odierni appellanti avverso il decreto reiettivo dell’istanza di misure cautelari monocratiche adottato dal giudice di primo grado:

 

“Ritenuto che l’istanza cautelare, per quanto ammissibile, non è tuttavia fondata;

 

Considerato infatti:

 

1) che le contestate prescrizioni del D.P.C.M. impugnato trovano copertura di fonte primaria nel D.L. n. 52/2021 il cui precetto normativo va applicato per come incorporato dalla legge di conversione n. 87/2021;

 

2) che le prescrizioni stabilite dal Garante per la riservatezza dei dati personali mantengono la loro efficacia nei confronti delle misure applicative di copertura dell’autorità sanitaria nazionale cui spetta il coordinamento delle iniziative occorrenti;

 

3) che il “green pass” rientra in un ambito di misure, concordate e definite a livello europeo e dunque non eludibili, anche per ciò che attiene la loro decorrenza temporale, e che mirano a preservare la salute pubblica in ambito sovrannazionale per consentire la fruizione delle opportunità di spostamenti e viaggi in sicurezza riducendo i controlli;

 

4) che la generica affermazione degli appellanti (pag. 7 appello) secondo cui “allo stato delle conoscenze scientifiche” non vi sarebbe piena immunizzazione e quindi si creerebbe un “lasciapassare falso di immunità”, si pone in contrasto con ampi e approfonditi studi e ricerche su cui si sono basate le decisioni europee e nazionali volte a mitigare le restrizioni anti covid a fronte di diffuse campagne vaccinali”;

 

Considerato che il Tribunale valuterà, in sede di merito, l’ammissibilità degli atti di intervento in giudizio delle parti indicate in epigrafe;

 

Ritenuta infine la sussistenza di giuste ragioni per disporre la compensazione delle spese del giudizio cautelare di appello, tenuto conto della novità delle questioni trattate;

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) respinge l’appello cautelare.